La contaminazione radioattiva fu condizionata fortemente dalle condizioni atmosferiche di quel giorno. Nelle ore successive al disastro infatti insistevano sull’area due zone ad alta pressione, una a forma di cuneo sull’Europa Centrale e una sul Mediterraneo.
Sabato 26 e domenica 27 aprile 1986 il vento soffiava verso nord, investendo la Bielorussia e gli Stati baltici, per girare poi verso nord-ovest il lunedì successivo, su Svezia e Finlandia, e infine verso ovest, su Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito.
Da martedì 29 aprile a venerdì 2 maggio un’area depressionaria sul Mediterraneo si spostò a sud, richiamando un flusso d’aria da nord-est su Cecoslovacchia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Austria e Italia settentrionale, scivolando poi in parte sull’arco alpino, investendo Svizzera, Francia sud-orientale e Germania meridionale, e in parte sull’arco appenninico, investendo l’Italia centrale. Da domenica 4 a martedì 6 maggio, il vento girò verso sud, investendo di nuovo Ucraina, Russia meridionale, Romania, Moldavia, Penisola balcanica, fino alla Grecia e alla Turchia.
L’emissione di vapore radioattivo cessò sabato 10 maggio 1986.
Da quel momento migliaia di persone furono esposte a fortissime radiazioni che causarono loro la morte o gravi deformazioni. Ancora oggi quelle popolazioni pagano un prezzo altissimo, soprattutto i più giovani, i bambini abbandonati negli orfanotrofi Bielorussi.